Protocollo di Milano, un sogno di tutti 12

Osservazioni di Elia Romanini sul protocollo di Milano.

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12 thoughts on “Protocollo di Milano, un sogno di tutti

  1. Reply Davide Quadrelli Jun 29, 2015 10:32 pm

    Questo protocollo è il primo passo verso una consapevolezza e un impegno di tutti per ridurre gli sprechi. Sono d’accordo con quasi tutti i punti proposti a parte quello che afferma: “I prodotti animali (in particolare la carne) sono responsabili di uno sproporzionato consumo di risorse e produzione di inquinanti.”
    Questa demonizzazione delle proteine animali per me sono ingiustificate e se analizziamo il caso INALCA (vedi doc. di Masseroni) vediamo come gli “inquinanti” vengano depurati e ancor di più vengono reindirizzati per fare bio-metano in ottica di sostenibilità. Indubbiamente esiste una sproporzione di consumo di risorse, ma vogliamo mettere il valore biologico di un kg di carne o di un litro di latte con un kg di mais?
    Penso che il peso maggiore dello spreco di risorse sia imputabile allo spreco domestico e della ristorazione, inaccettabile a mio modo di vedere in un paese sviluppato. La maggior parte della gente, come dice il tuo articolo, butta nella spazzatura una buona quota della spesa settimanale e credimi che ciò avviene anche nei maggior ristoranti (il cliente medio avanza metà della portata che ordina). Questo per me è inaccettabile. Altro punto da migliorare è, a mio parere, lo spreco di materie prime contaminate che avviene nei paesi sottosviluppati a causa di un errata conservazione o di sbagli in fase di coltivazione. A mio modo di vedere, l’impegno dei paesi sviluppati dovrebbe focalizzarsi su questi punti (aiutare i paesi in via di sviluppo a coltivare e conservare meglio le materie prime) e non sulla diminuzione di produzione di calorie animali. Anche perché una vacca da latte produce in media 35 l di latte/die e ha un periodo di attività di circa 305 giorni per 3/4 parti ergo circa 43 mila litri di latte (stando basso con le stime) che può essere utilizzato tal quale o per la produzione di prodotti caseari. A fine carriera da essa possiamo ricavare anche carne che, non sarà di qualità, ma di sicuro sarà più nutriente di una bistecca di soia (parlando di valore biologico proteico).
    A parte questo, penso che il protocollo debba essere approvato da tutti perchè se tutti collaboriamo e cerchiamo di capire di sicuro potremmo ridurre quel gap che intercorre tra parte sviluppata del pianeta e parte ridotta alla fame. Questo protocollo spero che metta le basi anche per un sistema di informazione del consumatore che lo porti a capire l’importanza che esso assume come membro del sistema Mondo nel evitare gli sprechi cercando cosi di essere sostenibile. Spero che il consumatore capisca anche l’importanza della industria alimentare moderna che non è solo “quella che fa le merendine con tanti conservanti” ma anche quella che si impegna nella sostenibilità ambientale e nello SFAMARE IL PIANETA. Se poi essa mette qualche conservante negli alimenti lo fa per preservare la salubrità dell’alimento che in mani del consumatore ignorante finirebbe di sicuro nella spazzatura perché mal conservato…

  2. Reply Elia Romanini Jun 30, 2015 12:31 pm

    Purtroppo lo spreco di cibo è dovuto ad una mancanza di consapevolezza e al fatto che nei Paesi più ricchi il cibo sia facilmente reperibile.
    Secondo il mio parere, il gap di ricchezza non verrà mai colmato in quanto il raggiungimento della food security nei Paesi meno sviluppati è un problema prima di tutto politico.
    Certo, l’attuazione del Protocollo sarebbe un primo importante passo, ma comunque ci sono interessi economici più grandi.
    Servirebbe un processo di informazione e formazione rivolta alla cittadinanza a partire dalla scuola primaria e un recupero di molti valori perduti come la solidarietà.

  3. Reply Andrea Masseroni Jun 30, 2015 12:54 pm

    Mi permetterei di esprime la mia opinione in merito; sicuramente quanto esposto nell’elaborato del Dot.re Romanini e il fatto che c’è da vedere se effettivamente i Paesi applichino tali punti, in tal senso io suggerirei di considerare il Protocollo di Milano pari a quello di Kyoto in materia di ambiente riguardante il surriscaldamento globale e così come quest’ultimo protocollo è stato sottoscritto da 180Paesi direi di applicare la medesima politica al Protocollo di Milano e far si così che diventi obbligatorio eseguire i diversi punti all’interno di un arco temporale ben preciso. Per quanto riguarda, invece, la questione dello spreco di alimenti a livello domestico e ristorativo, visto che è uno, se non l’unico, grosso problema suggerirei di potenziare la rete di raccolta alimenti dati dagli eccessi produttivi ristorativi ad organizzazioni come “Il Banco Alimentare” che dal 1989 opera per ridurre lo spreco alimentare come compare sul loro sito web: “Promuove il recupero delle eccedenze alimentari e la redistribuzione alle strutture caritative, organizza la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare e altre Collette Alimentari in azienda, gestisce gli strumenti di comunicazione a livello nazionale.”, ed ancora “Ogni giorno combattiamo lo spreco e recuperiamo cibo per i poveri in Italia”. Se questa politica fosse adottata a livello Europeo da aziende analoghe molto cibo non sarebbe sprecato ma bensì reindirizzato ad chi ne avrebbe bisogno. Ma questo non dovrebbe scindersi dall’aspetto “d’istruzione” del consumatore medio che a livello domestico impari a sprecare meno con l’obbiettivo di ridurre a zero lo spreco domestico oltre a quello ristorativo.

  4. Reply Andrea Masseroni Jun 30, 2015 12:58 pm

    P.s.: secondo Me il gap di ricchezza, in parte non potrà essere risolto, ma di certo la sua riduzione servirebbe a ridurre lo spreco alimentare perché un Paese aiutato economicamente ed istruiti i tecnici (agricoltori in primis, ma anche imprenditori alimentari) potrà prendere più coscienza del significato del significato stesso “spreco” e di quanto non gli convenga ridurlo per ridurre la povertà (meno cibo spreco o sono più efficiente nel produrlo, e meno ne dovrò acquistare dall’estero (import) e risparmiare denaro da investire in altri frangenti.

  5. Reply Elia Romanini Jun 30, 2015 3:21 pm

    Il Gap di ricchezza, purtroppo, rimarrà sempre in quanto continueranno a prevalere logiche di land grabbing.
    Servirebbe un radicale cambio di mentalità nei Paesi sviluppati.

  6. Reply Sergio Mattarozzi Jul 1, 2015 10:24 am

    Il fulcro fondamentale di tutto il discorso, a mio parere ricade sulla parte finale dell’elaborato di Elia, quello in cui si fa riferimento alle “firme” dei singoli cittadini. E’ da qui che si dovrebbe partire, dai singoli. Le multinazionali, gli organi di governo etc possono proporre, scrivere ed impegnarsi a fare tutto ciò che ritengono consono, ma finchè la rivoluzione non partirà dal basso, non si arriverà da nessuna parte. Ed esempi, nel campo della sostenibilità, ce ne sono eccome. Basta pensare a Sasmo (isola danese) dove tutta l’energia proviene da fonti rinnovabili, a impatto 0 insomma. 4400 persone che in DIECI ANNI sono passate dal completo riscaldamento a nafta e dall’importazione dalla terra ferma del 100% dell’elettricità, ad auto-produrre più energia di quella necessaria attraverso pale eoliche, pannelli solari e con il geotermico. Un’isola verde insomma. Ma è stato necessario l’impegno e soprattutto la collaborazione di tutti gli abitanti. E’ questo che “manca” all’europa, e al mondo in generale. Abbiamo la mania di sprecare energie nel tentativo prevalere l’uno sull’altro, quando magari camminando fianco a fianco si arriverebbe più lontano. Lodevole l’obiettivo di lasciare che la terra venga lavorata dagli autoctoni e che i frutti che questa da vengano gestiti dalle popolazioni del posto, ma concordo con Elia nell’arginare il problema della fame nel mondo ad un mero contesto politico. Se si volesse, si potrebbero sollevare i paesi “arretrati” in tempo record, fornire strutture scolastiche, mezzi per l’agricoltura e non solo. La domanda da porsi a questo punto diventa: perchè i ‘potenti della terra’ (gli unici che potrebbero far qualcosa pragmaticamente) non lo fanno?

  7. Reply Tommaso Mastrofilippo Jul 1, 2015 12:45 pm

    Il protocollo di Milano, indubbiamente, rappresenta la base per salvaguardare il nostro futuro alimentare. Tutti gli obiettivi da raggiungere sono positivi ma siamo sicuri che possano essere raggiunti? In particolare mi soffermerei sul terzo obiettivo (lotta all’obesità ed educazione alimentare): al giorno d’oggi vediamo sempre più fast food pieni di gente. Questo può derivare sia da una mancanza di tempo e di denaro (dato che offrono cibo in poco tempo e a prezzi convenienti), sia da una parziale mancanza all’educazione alimentare. Il protocollo di Milano si prefigge di favorire l’educazione ma bisogna considerare anche l’altro lato della medaglia, ovvero le aziende e tutti gli interessi economici. A questo punto pongo una domanda: siamo disposti a lasciare da parte gli interessi economici e salvaguardare la nostra salute?

  8. Reply Federica Maiocchi Jul 1, 2015 4:52 pm

    Per quanto concerne il primo obiettivo, ossia l’abbattimento del 50% entro il 2020 degli 1,3 miliardi di tonnellate di cibo sprecato nel mondo, occorre chiarire il concetto di spreco alimentare. Pertanto, io porrei attenzione sulla differenza tra food losses e food waste; per food losses si intendono le perdite che si determinano nella parte alta della filiera agroalimentare: semina, coltivazione, raccolta, trattamento, conservazione, prima trasformazione agricola, invece per food waste si fa riferimento a sprechi prodotti nella seconda parte della filiera, ovvero durante la trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale. Nei Paesi in via di sviluppo lo spreco alimentare si verifica soprattutto attraverso le perdite a monte della filiera per mancanza di competenze, risorse per attuare azioni preventive in campo. Al contrario, nei Paesi industrializzati prevale il food waste inteso come spreco a livello domestico, della ristorazione collettiva ed dell’industriale alimentare; manca una consapevolezza del valore del cibo. Concordo con l’idea di potenziare la rete di raccolta alimenti da fornire ad associazioni come la Caritas o il Banco alimentare; ma anche in questo frangente, rispetto agli anni passati, ci sono limiti per la distribuzione di prodotti refrigerati prossimi alla scadenza provenienti dai supermercati a questi enti caritativi.
    In merito alla lotta alla fame e alla malnutrizione, tale problema è insito in un contesto socio-politico più ampio di squilibrio tra aree del mondo ricche e sviluppate e Paesi poveri in via di sviluppo. Secondo le proiezioni statistiche nel 2050 la popolazione mondiale sarà di 9 miliardi di abitanti (attualmente 7 miliardi); garantire la food safety cioè un cibo sano, sicuro e nutriente a tutti sarà ancora più complicato nell’ottica di aumento della popolazione. Non trovo giusto demolizzare le proteine animali, poiché dagli studi di nutrizione sono le migliori dal punto di vista del valore biologico perché contengono tutti gli aminoacidi essenziali per l’uomo. La riduzione delle colture cerealicole è da imputare anche ad altri fattori: micotossine, insetti ecc. Si possono attuare tentativi per arginare il problema obesità come campagne sulla prevenzione e su una corretta dieta alimentare. Lo sforzo deve partire dai singoli individui, poiché tanti piccoli sforzi permettono di attuare un processo di miglioramento. Per farlo ognuno deve avere cura del cibo con cui si nutre, consumandone soltanto il necessario e conservando il resto senza doverlo buttare via, deve evitare lo spreco di acqua ed energia.

  9. Reply Gabriele Rocchetti Jul 2, 2015 6:52 am

    Fenomeni come land grabbing, food losses, food waste e food garbage fanno sicuramente parte (purtroppo) della realtà agro-alimentare attuale. Riprendendo il commento di Federica, mi soffermerei su due punti:
    1) sicuramente le proteine animali dal punto di vista nutrizionale contengono tutti gli amminoacido essenziali per l’uomo, cosa che è perfettamente ottenibile combinando due alimenti vegetali come cereali e legumi. Il problema, come si è accennato in precedenza, sta nel differente destino metabolico: in particolae modo, nel loro processo catabolico le proteine vegetali conducono alla formazione di acidi volatili deboli facilmente eliminabili attraverso i polmoni. Le proteine animali, invece, vengono catabolizzati in acidi fissi o corti che possono essere eliminati solo attraverso organi di detossificazione come il rene e poi escrete con le urine. Il problema è che le urine non vengono eliminate continuamente nell’arco di una giornata, quindi tali metaboliti possono dare fenomeni di accumulo tissutale, provocando uno stato di acidosi metabolica cronica che è alla base di alcune sindromi (diabete, sindrome metabolica, ecc). Pertanto l’assunzione di proteine animali determina quindi un’acidificazione metabolica (negativa ai fini della salute) che può essere compensata solamente da una contemporanea abbondante assunzione di acqua, di frutta e di verdura. Inoltre l’assunzione di cibo di origina animale comporta l’introduzione, oltre che di proteine, anche di grassi (per lo più saturi) insalubri favorenti la sindrome metabolica e la formazione di radicali liberi.
    2) Approfondirei anche la tematica dell’entomofagia: gli insetti sono gli animali più abbondanti del pianeta e le loro carni sono ricche in proteine, vitamine e povere di grassi. Il loro gusto inoltre sembrerebbe essere gradevole. Perché quindi non entrano in modo considerevole nei nostri piattiSecondo alcuni esperti, la dieta a base di insetti è ottima sia dal punto di vista dietetico sia da quello organolettico. Pare infatti che gli insetti siano molto buoni. Ma allora perché questi piccoli esseri non vengono serviti nei nostri piatti? Sicuramente il fatto che siano così difficili da allevare non ha aiutato la loro diffusione: accudire una vacca è sicuramente meno oneroso e più produttivo rispetto alla irrisoria quantità ottenibile dall’allevamento di piccoli animali a sei zampe. E questo è un limite non indifferente che, a mio avviso non permetterà agli insetti di entrare nelle nostre diete in modo considerevole. Eventualmente, visti gli indiscussi vantaggi nutrizionali, questi invertebrati potranno essere un valido compendio alla nostra alimentazione. Attualmente esiste anche un altro problema legato alla commestibilità degli insetti: quello legale. Come è noto, la carne che noi ingeriamo deve essere controllata da un veterinario e i veterinari esperti in carne di insetti sono piuttosto rari, per questo trovare carne di insetto legale è piuttosto difficile.
    Ma per concludere mi chiedo e vi chiedo: si parla tanto di spreco e di sostenibilità, non sarebbe ora di evolversi verso altre culture ed aspetti nutrizionali? Sarebbe così folle considerare (anche in Europa) nuovi scenari nutrizionali?

  10. Reply Elia Romanini Jul 2, 2015 7:38 am

    La domanda che pone Tommaso è legittima e secondo me il problema è il troppo potere in mano a poche multinazionali. I singoli governi dovrebbero frenare la loro continua ascesa.
    Ribadisco anche che il punto focale è l’educazione a livello di scuola primaria in quanto è l’unico faro che possa permettere al genere umano il recupero di valori fondamentali ormai perduti, partendo anche dagli esempi positivi citati da Sergio. Anche noi futuri tecnologi alimentari abbiamo il dovere di aiutare questo processo, producendo alimenti con shelf life sempre più prolungata per diminuire il food waste e per garantire la food security ad un pianeta che sarà sempre più affollato, nel rispetto dell’ambiente e della biodiversità.
    Per rispondere a Federica, l’intenzione non è demonizzare le proteine animali. Sono d’accordo che siano le proteine con biological value migliore, il punto è che l’uomo ingerisce più proteine animali di quelle necessarie, molte volte solo per piacere personale. Non bisogna eliminare il consumo di carne, ma solamente ridurlo perché ormai i numeri attuali non sono piiù sostenibili.

  11. Reply Andrea Masseroni Jul 2, 2015 1:45 pm

    Nel documento elaborato dal Barilla Center for Food and Nutrition, riporta come la FAO nel 2011 abbia stimato che gli sprechi alimentari nel mondo si aggirano su 1,3 miliardi di tonnellate all’anno, pari a circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano, mentre un’altra ricerca (Smil, 2010) indica che solo il 43% dell’equivalente calorico dei prodotti coltivati a scopo alimentare a livello globale viene direttamente consumato dall’uomo. Limitandosi agli sprechi domestici e utilizzando diverse fonti statistiche nazionali (che non sempre sono del tutto comparabili) risulta che all’anno ogni persona spreca: 110 kg di cibo commestibile negli Stati Uniti, 108 in Italia, 99 in Francia, 82 in Germania e 72 in Svezia; questo mi fa pensare come la necessita di una maggior e più incisiva educazione all’ottimizzazione dei consumi già a partire dai bambini sia fondamentale. In più, per quanto riguarda il comparto ristorativo, non mi stancherò mai di dire che l’appoggiarsi su di organizzazioni no-profit che riescano a ridistribuire il cibo che è prossimo alla scadenza ed i supermercati ritirano dagli scaffali nonché per il cibo prododto in più dai ristoranti che l’indomani viene buttato e se fosse dato a tali enti/associazioni aiuterebbe a ridurre lo spreco e quindi ad abbassare quegl’indici riportati poi in elaborati quali quello dello stesso Barilla Food Center in cui si vede e legge che 1,9 milioni di tonnellate (pari al 2.6% del totale prodotto) sono sprecate nell’industria alimentare e il dato più alto è quello degli ortaggi e frutta che sono quelli più sprecati perché mal gestiti.

  12. Reply Mattia Noci Jul 2, 2015 4:42 pm

    Occorre dare una spinta all’immobilismo delle istituzioni e passare all’azione promuovendo le soluzioni del Protocollo di Milano firmandolo ed impegnandoci totalmente, nella sua applicazione globale, stimolando le opinioni e gli interventi. Tutti gli attori della filiera alimentare devono sentirlo come proprio e comprenderne i vantaggi. Occorre quindi animare una discussione su un tema così complesso, facilitando così il compito di arrivare ad un accordo. Noi siamo quindi i protagonisti del cambiamento prendendo parte alla costruzione del nostro futuro. Tutti abbiamo la possibilità di contribuire e partecipare alla costruzione del nostro futuro, poiché sono le nostre scelte nella quotidianità in grado non solo di cambiare la nostra vita, ma di influenzare le istituzioni, le economie affinché si abbandoni questo modello di sfruttamento delle risorse e di errata destinazione dei terreni per la produzione di derrate alimentari, in favore della costruzione di un modello sostenibile, equilibrato e più giusto per il benessere sia della popolazione che del nostro pianeta. Secondo me se aspettiamo un idea rivoluzionaria dalle istituzioni ci sveglieremo domani con il mondo già in rovina.

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